Il TFR, acronimo di Trattamento di Fine Rapporto, è una somma di denaro che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore quando termina il rapporto di lavoro, sia per dimissioni che per licenziamento o pensionamento.
Si tratta di una sorta di liquidazione differita e accantonata che matura ogni anno in proporzione alle mensilità effettivamente lavorate. Il TFR rappresenta quindi una gratifica, un premio consegnato al termine della collaborazione, ideale lasciapassare verso nuove opportunità.
A differenza dello stipendio, che viene erogato mensilmente in busta paga, il TFR viene accantonato dall’azienda, capitalizzato e poi elargito in unica soluzione alla fine del percorso insieme.
Differenza con lo stipendio
Come accennato, il TFR si differenzia dallo stipendio per modalità di erogazione e funzione. Lo stipendio è la retribuzione mensile per la prestazione lavorativa effettuata, prevista dal contratto di assunzione.
Viene corrisposto ogni mese insieme alla busta paga ed è composto dal salario base e da eventuali indennità, straordinari, bonus. Rappresenta il corrispettivo immediato che il dipendente riceve a fronte del lavoro svolto.
Il TFR matura invece mese dopo mese, viene accantonato dall’azienda in un apposito fondo senza che il lavoratore ne possa disporre durante il rapporto di lavoro. Questo accantonamento progressivo formerà la somma finale che verrà elargita al termine del percorso condiviso.
Si tratta quindi di uno strumento con finalità previdenziale, una ricompensa per gli anni al servizio dell’impresa, un sostegno economico per le possibili difficoltà iniziali nel “dopo”. Il classico regalo d’addio di fine collaborazione.
Quando matura
Il trattamento di fine rapporto inizia a maturare fin dal primo giorno di assunzione nella nuova azienda, indipendentemente dal tipo di contratto siglato. Che sia a tempo indeterminato, determinato, part-time o full-time, il diritto al TFR sorge immediatamente per il lavoratore a prescindere dalla durata prevista del rapporto, proprio a tutela del dipendente considerato parte debole del contratto.
L’accantonamento concreto e la sua rivalutazione avvengono in parallelo per tutta la durata effettiva della collaborazione professionale, solo alla fine verrà determinato l’ammontare spettante complessivo di cui il lavoratore potrà beneficiare. Non esiste quindi un periodo minimo di lavoro richiesto affinché scatti il beneficio del trattamento di fine rapporto, è sufficiente l’instaurazione del vincolo contrattuale.
È pur vero che la somma accantonata nei primi mesi di collaborazione risulterà proporzionalmente più bassa rispetto a quella di un dipendente con maggiore anzianità. Sicuramente le mensilità iniziali, come accade per ogni percorso che si rispetti, sono quelle di rodaggio, necessarie per cementare i rapporti e acquisire dimestichezza con i ritmi e le modalità specifiche dell’azienda.
Ma già in questa fase embrionale ha inizio, come un piccolo seme, quella riserva economica destinata a crescere mese dopo mese.
Retribuzione di riferimento
Il calcolo del trattamento di fine rapporto parte da un elemento fondamentale: la retribuzione annua di riferimento. Questa altro non è che una retribuzione teorica e convenzionale definita dalla legge, utile per standardizzare e semplificare il computo del TFR spettante ai dipendenti.
Viene infatti preso in considerazione lo stipendio lordo effettivamente percepito dal lavoratore nell’ultimo anno solare, a cui però vengono applicati dei correttivi. In particolare, vanno esclusi gli straordinari, le maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno o festivo, le gratifiche una tantum non contrattualizzate, i rimborsi spese, i premi di risultato.
Viceversa, vanno incluse nel calcolo usuali voci ricorrenti come la tredicesima mensilità, le ferie e i permessi retribuiti, gli scatti di anzianità, le indennità fisse previste per specifici ruoli. Il risultato è la definizione di una retribuzione lorda su base annuale “standard”, la stessa presa a riferimento dall’Inps per il calcolo dei contributi previdenziali.
Questa retribuzione teorica annua di riferimento costituisce la base su cui applicare le aliquote previste dalla normativa per determinare l’accantonamento concreto. Un parametro astratto ma funzionale a garantire omogeneità di trattamento e a evitare interpretazioni discordanti. Ipotizzando 30000 euro di retribuzione lorda standard annua, si applicherà su questo importo la percentuale di accantonamento prevista.
Aliquote
L’aliquota di accantonamento del TFR altro non è che la percentuale applicata ogni anno alla retribuzione annua lorda convenzionale per determinare l’effettivo accantonamento. Si tratta di una percentuale definita per legge che varia in base agli anni di anzianità aziendale del lavoratore.
In particolare, per i primi due anni di rapporto di lavoro l’aliquota è pari al 6,91% della retribuzione annua di riferimento. Dal terzo al settimo anno si sale al 9%, mentre dall’ottavo anno in poi l’aliquota da applicare per l’accantonamento annuale del TFR è pari al 11,5%.
Questa differenziazione in scaglioni riflette la volontà di modulare l’accantonamento complessivo in modo da garantire una somma finale più consistente per coloro che dedicano una fetta significativa della propria vita lavorativa ad una stessa azienda. Un benefit crescente per premiare, in un certo senso, la fedeltà e l’attaccamento dimostrati.
In breve, le aliquote del 6,91%, 9% e 11,5% rappresentano le percentuali applicate di anno in anno alla retribuzione lorda convenzionale per quantificare l’effettivo accantonamento annuale del TFR, che andrà poi a sommarsi agli accantonamenti degli anni precedenti.
Accantonamento annuale
Una volta definita la retribuzione annua lorda standard del dipendente e identificata la corretta aliquota di riferimento in base agli anni di servizio, è possibile calcolare l’accantonamento concreto del TFR per ogni anno lavorato.
Si procede moltiplicando la retribuzione di riferimento per la percentuale prevista dalla normativa e si ottiene così quanto l’azienda è tenuta ad accantonare a titolo di trattamento di fine rapporto per quella specifica annualità.
Ad esempio, se il lavoratore guadagna convenzionalmente 30000 euro lordi all’anno e si trova nel suo quinto anno in azienda, la sua aliquota di riferimento sarà del 9%. L’accantonamento per quel singolo anno sarà quindi di 30000 * 9% = 2700 euro. Questo importo va ad aggiungersi al totale accantonato delle annualità precedenti.
Lo stesso meccanismo si applica di anno in anno, ovviamente adeguando ogni volta la retribuzione di riferimento al suo effettivo ammontare per quella annualità specifica. Così facendo si determinano gli accantonamenti annuali concreti che rappresentano la futura liquidazione del lavoratore.
Al momento della cessazione del rapporto di lavoro, la somma degli accantonamenti di tutti gli anni di servizio, opportunamente rivalutata, andrà a costituire il TFR maturato che verrà elargito al lavoratore nella sua totalità come premio per il cammino percorso insieme.
Casi particolari
Dimissioni
Nel caso di dimissioni del lavoratore, è previsto il diritto di ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto maturato durante tutto il periodo di lavoro svolto presso l’azienda. Le dimissioni, definite anche con il termine “cessazione per volontà del lavoratore”, sono l’atto formale con il quale il dipendente decide autonomamente di interrompere il rapporto di lavoro, dando un preavviso al datore nei modi e nei tempi stabiliti dal contratto collettivo.
Una scelta personale non imposta che tuttavia fa scattare il diritto alla liquidazione. Al momento della comunicazione di dimissioni, il datore di lavoro è infatti tenuto a corrispondere al lavoratore l’importo di TFR proporzionale alla sua anzianità aziendale, comprensivo quindi di tutti gli accantonamenti annuali avvenuti dal giorno dell’assunzione fino all’ultimo giorno lavorativo.
Il calcolo del TFR spettante avviene con le medesime modalità analizzate nel capitolo 2, ovvero in base alla retribuzione annua di riferimento convenzionale e alle aliquote previste. L’unica differenza sta nel periodo preso in considerazione che in questo caso è interrotto dalla scelta volontaria di dimissioni, un cambio di rotta che comunque porta con sé il diritto all’indennità da tempo messa da parte dall’azienda.
Licenziamento
Anche nel caso di licenziamento del lavoratore è prevista la liquidazione del trattamento di fine rapporto accumulato nell’intero arco temporale in cui si è protratto il vincolo contrattuale con il datore di lavoro.
Con il termine “licenziamento” si intende l’atto unilaterale con cui il datore decide di interrompere il rapporto a fronte di una giusta causa, di giustificato motivo soggettivo o per riduzione di personale. Indipendentemente dalla tipologia specifica, il licenziamento determina la cessazione immediata del contratto e il diritto per il lavoratore di ottenere il TFR maturato.
L’ammontare verrà determinato con il consueto procedimento visto nel capitolo 2, ovvero in proporzione alle annualità lavorate in azienda. Tutti gli accantonamenti avvenuti anno per anno, rivalutati fino all’ultimo giorno di servizio, andranno a comporre il quantum spettante al dipendente licenziato a titolo di liquidazione della prestazione lavorativa erogata.
Pensionamento
Il pensionamento rappresenta un altro caso di cessazione del rapporto di lavoro che comporta il riconoscimento al lavoratore della completa liquidazione del trattamento di fine rapporto accumulato nell’intera vita lavorativa.
Con il termine “pensionamento” si intende il raggiungimento da parte del lavoratore dei requisiti di età anagrafica o di anzianità contributiva previsti dalla legge per l’accesso alla pensione di vecchiaia o anticipata.
Indipendentemente dalla tipologia di pensione, l’azienda presso cui prestava servizio è tenuta a corrispondergli l’intera somma del TFR accantonato negli anni, rivalutazioni comprese.
Si tratta del naturale approdo a conclusione della vita attiva, la meritoria uscita di scena che porta con sé, oltre al meritato riposo, anche la gratifica simbolica e materiale del trattamento di fine rapporto, quasi a voler suggellare un’unione scandita dal tempo.
In conclusione, possiamo affermare che il trattamento di fine rapporto si rivela, uno strumento prezioso di tutela del lavoratore, una garanzia di stabilità concreta che lo accompagna lungo tutto il percorso professionale intrapreso.
Quell’accantonamento silenzioso che ha luogo mese dopo mese, dovuto per legge ma avvertito anche come un gesto di riguardo, è in realtà un salvadanaio che attende paziente il momento propizio per aprirsi.
E tale istante arriva puntuale quando il rapporto giunge al capolinea, sia esso causato da dimissioni, licenziamento o pensionamento. In tutti questi casi, al lavoratore spetta il diritto di riscuotere l’intera somma del TFR accantonato, rivalutazioni annue comprese.
Si tratta del naturale coronamento di un legame professionale, il necessario passaggio del testimone per consentire a entrambe le parti di gettarsi con rinnovato slancio in nuove stimolanti avventure.