Lavoro a turni: che cos’è, come funziona e come gestirlo al meglio

Il lavoro a turni è una modalità lavorativa in cui i dipendenti si alternano nelle medesime mansioni secondo un calendario predefinito. Questa modalità prevede che i dipendenti coprano vari periodi del giorno e della settimana, anziché seguire un orario fisso di 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana. Si tratta di un tipo di organizzazione essenziale per tutti quei settori che, per esigenze di mercato, richiedono operatività continua, come: sanità, farmaceutica, ospitalità, industria e logistica. Per le aziende può risultare da un lato vantaggioso in quanto ottengono una copertura 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, ottimizzando la produttività delle risorse; da un lato però potrebbe presentare qualche difficoltà per i dipendenti: il lavoro su turni se non affrontato nel modo giusto, potrebbe risultare stressante e influenzare l’equilibrio psicofisico di chi ne fruisce. Le difficoltà sono legate alla disorganizzazione del ritmo circadiano e alla difficoltà nel bilanciare vita lavorativa e tempo libero. Normative di riferimento Il lavoro a turni è regolamentato da diverse norme nazionali e internazionali. In Italia, il Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) dettano le linee guida per la gestione del lavoro a turni. Il Decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 definisce il lavoro a turni come un metodo organizzativo che vede i lavoratori alternarsi nelle stesse mansioni. Include indicazioni su riposi giornalieri e settimanali, assicurando che i dipendenti abbiano almeno 11 ore di riposo consecutive ogni 24 ore e 24 ore di riposo settimanale. È sempre importante controllare i CCNL che stabiliscono le condizioni lavorative specifiche per settori e categorie, ad esempio, pur lavorando nello stesso ambito, medici e infermieri possono avere diritti diversi riguardo al riposo. Intervengono poi sull’organizzazione del lavoro a turni anche la direttiva europea 93/104/CE, che fornisce ulteriori prescrizioni sulla sicurezza e salute dei lavoratori in relazione all’organizzazione dei turni, e la sentenza della Corte di cassazione n. 12962 del 21 maggio 2008, che stabilisce che i lavoratori debbano essere informati con congruo anticipo sugli orari dei propri turni, garantendo una gestione trasparente e rispettosa delle esigenze dei dipendenti. Organizzazione dei turni di lavoro Una buona organizzazione dei turni di lavoro è cruciale per mantenere l’operatività aziendale e garantire il benessere dei dipendenti. La pianificazione deve essere precisa, puntuale e adattata alle esigenze specifiche dell’azienda.  Le soluzioni per organizzare i turni possono essere diverse: Per organizzare i turni di lavoro in modo efficace, bisogna seguire alcuni passaggi chiave.  Prima di tutto, è necessario analizzare le esigenze operative, considerando le ore di picco, i requisiti di sicurezza, il know-how richiesto e i tempi morti. Con la consapevolezza di questi aspetti – specifici per ogni attività – sarà molto più facile pianificare le alternanze.  Ricordarsi di coinvolgere i dipendenti è un passaggio fondamentale e non scontato: valutare le loro preferenze e necessità contribuirà a creare maggiore serenità e, di conseguenza, produttività. Pianificare congrui intervalli di riposo, soprattutto per i turni notturni, è fondamentale per garantire un adeguato recupero e poter contare su risorse sempre al massimo delle proprie capacità. Comunicare i turni con opportuno anticipo ai dipendenti – oltre ad essere un obbligo di legge  – è fondamentale proprio per permettere anche alle risorse di organizzare per tempo il proprio tempo libero e il necessario riposo.  Buona prassi è poi quella di prevedere di tenere alcune risorse da parte, in modo tale da poter procedere a sostituzioni in caso di assenze impreviste o periodi di riposo eccezionali (ferie, congedi parentali, matrimoniali, etc).  Infine, è decisamente utile monitorare e ottimizzare il sistema raccogliendo feedback dai lavoratori e analizzando le metriche. Gestione dei turni La gestione dei turni può avvenire in due modalità: tramite metodi manuali, o tramite software specializzati. Vediamo, nel dettaglio, quali sono i vantaggi di utilizzare delle soluzioni software specifiche per la gestione dei turni: Investire in una gestione ottimale dei turni può davvero migliorare la produttività e la qualità del lavoro, creando un ambiente lavorativo più soddisfacente e motivante, beneficiando di un basso tasso di turnover. 

Infortunio in smart working: cosa dice la normativa?

Lo smart working, o lavoro agile, è diventato una realtà sempre più diffusa e rilevante nel mondo del lavoro moderno. Questo modello di organizzazione del lavoro offre numerosi vantaggi sia per i dipendenti che per le aziende, permettendo una maggiore flessibilità e un migliore equilibrio tra vita professionale e personale. Tuttavia, è fondamentale conoscerne le modalità operative e le normative che lo regolano, al fine di garantirne una gestione efficace e conforme alle leggi vigenti. Specialmente nel caso – purtroppo non troppo raro – che il lavoratore in remoto sia vittima di un infortunio.  Vediamo cosa dice la normativa.  Cos’è lo smart working? Ne abbiamo già parlato nello specifico in un altro articolo di blog, ma in breve lo smart working è frutto di un accordo tra le parti in cui il lavoratore chiede l’opportunità al datore di lavorare da remoto. Disciplinato dalla Legge n.81 del 22 maggio 2017, il concetto di smart working mira ad introdurre modalità flessibili di esecuzione delle prestazioni lavorative, allo scopo di promuovere la competitività e agevolare la conciliazione fra vita personale e lavorativa. Lo smart working è una attività che viene programmata per fasi, cicli e obiettivi. La modalità del lavoro in remoto basa i suoi presupposti su tre importanti elementi: Se gestito correttamente, il lavoro in remoto può offrire notevoli vantaggi sia per l’azienda che per il dipendente. Smart working e tutele in caso di infortunio Ma veniamo al nocciolo della questione. Cosa succede se un lavoratore da remoto subisce un infortunio durante l’attività lavorativa? Non solo l’infortunio in smart working è coperto dall’INAIL, ma i dipendenti hanno diritto all’assicurazione INAIL contro infortuni e malattie professionali anche al di fuori dei locali aziendali. L’articolo 23 della legge 81/2017 estende la tutela INAIL ai lavoratori agili se l’infortunio è direttamente collegato alla prestazione lavorativa. L’INAIL, con una specifica circolare (48/2017), equipara i lavoratori in smart working a quelli tradizionali. In caso di infortunio, il lavoratore si dovrà occupare di denunciare l’evento come se fosse accaduto in azienda e descrivere dettagliatamente l’accaduto in modo da delineare i confini della tutela.   Dalla circolare INAIL: Per quanto concerne gli aspetti peculiari del lavoro agile, gli infortuni occorsi mentre il lavoratore presta la propria attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali e nel luogo prescelto dal lavoratore stesso sono tutelati se causati da un rischio connesso con la prestazione lavorativa.  Soffermiamoci un attimo su questo punto, che è fondamentale. L’infortunio avvenuto durante il lavoro da remoto è indennizzabile a patto che ci sia un nesso con l’attività lavorativa. Ciò significa che non basta che l’evento avvenga nei locali prescelti per l’attività da remoto (es. l’abitazione), ma deve esserci un nesso con il lavoro.  Il problema è che, come con l’infortunio in itinere, il confine è molto labile e possono verificarsi situazioni di non immediata risoluzione. Quello che è certo è che non è automatico che un infortunio tra le mura domestiche sia di competenza dell’INAIL solo perché in quel momento il lavoratore si trovava a casa propria in telelavoro.  Quali sono gli obblighi del datore di lavoro nei confronti del lavoratore? In ogni caso è bene ricordare che entro certi limiti (di buon senso) l’azienda è responsabile della salute e sicurezza dei dipendenti che lavorano in remoto. Il datore di lavoro ha infatti una serie di obblighi e responsabilità: Anche il delicato discorso del controllo risulta essere normato: l’azienda, infatti, può controllare l’attività del dipendente solo entro i limiti stabiliti dall’accordo di smart working e dalla normativa, utilizzando strumenti come pc, tablet e smartphone per ottenere informazioni sull’attività lavorativa, ma solo a condizione che: Con la giusta attenzione, preparazione e buon senso, il lavoro agile può essere svolto in sicurezza così come il lavoro in presenza, tutelando la salute e il benessere di tutti i dipendenti.

Cos’è la firma digitale e a cosa serve?

Nell’era sempre più interconnessa e digitale che caratterizza il nostro tempo, la sicurezza delle informazioni e l’autenticazione sono diventati temi centrali. La crescente diffusione di servizi online, transazioni elettroniche e comunicazioni digitali ha reso indispensabile tutelare l’identità delle parti coinvolte. In questo scenario, la firma digitale è diventata uno degli strumenti tecnologici più importanti in quanto permette di autenticare i documenti elettronici e garantire la loro validità giuridica. Spesso associata esclusivamente a liberi professionisti e imprese, la firma digitale può rivelarsi utile anche per i semplici cittadini, soprattutto quando si tratta di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione. Vediamo nel dettaglio che cos’è la firma digitale e a cosa serve. Che cos’è la firma digitale La firma digitale è un particolare tipo di firma elettronica qualificata, generata attraverso una procedura informatica che associa una firma a un documento elettronico. Non è semplicemente la versione informatica della firma autografa tradizionale, visto che integra e sostituisce l’applicazione di “sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere” (Capo II, Art. 24 codice dell’Amministrazione Digitale). L’effetto è lo stesso: la convalida legale del documento. Non basta, quindi, scannerizzare o fotografare una firma e incollarla. Il perché è facilmente intuibile: qualcuno potrebbe modificarla e riprodurla e quindi avrà uno scarso valore probatorio. La firma digitale deve avere tre requisiti fondamentali: Il suo utilizzo permette di autenticare i documenti in modo non solo più rapido ed economico, ma anche sostenibile in quanto rende superfluo stampare la carta. A cosa serve la firma digitale Con la firma digitale, è possibile apporre la propria firma su qualsiasi documento elettronico, sia esso di natura pubblica o privata. La sua adozione ha permesso una semplificazione e una completa digitalizzazione delle relazioni tra cittadini, liberi professionisti, imprese e Pubblica Amministrazione. Alcuni esempi di uso della firma digitale sono: Secondo la legislazione vigente in Italia, l’uso della firma digitale è obbligatorio solo in particolari circostanze, tra cui: I casi menzionati riguardano principalmente le aziende, ma la firma digitale è obbligatoria anche per alcune categorie professionali, tra cui gli avvocati e gli architetti, che sono tenute a usarla per ottenere l’accesso a determinati servizi ministeriali. Per i privati cittadini, invece, la firma digitale non è obbligatoria, ma potrebbe essere molto utile perché permette di firmare digitalmente qualsiasi documento della Pubblica Amministrazione, come il cambio di residenza, evitando di fare la coda agli uffici. Come funziona L’applicazione della firma digitale sui documenti avviene tramite l’utilizzo di un dispositivo dedicato, sfruttando sistemi crittografici a chiavi asimmetriche. Questo vuol dire che ogni utente riceve due chiavi diverse per cifrare e decifrare i messaggi: una privata e una pubblica. La chiave privata è contenuta nel dispositivo sicuro (smart card o token USB) e serve per firmare. Quella pubblica viene invece diffusa, essendo contenuta nel certificato digitale intestato al firmatario e accluso al documento firmato. La chiave pubblica serve per decrittare la firma, attestandone la validità. Una volta che il titolare ha completato le procedure di registrazione e identificazione, riceve un kit formato da un lettore (che può essere anche contactless), che si collega al computer tramite una porta USB, e una smart card. Quest’ultima contiene due certificati: il primo serve per sottoscrivere i documenti informatici con valore legale, come ad esempio contratti, fatture, dichiarazioni o moduli, e viene rilasciato da un ente certificatore qualificato; il secondo è un certificato di autenticazione CNS (Carta Nazionale dei Servizi) e serve per identificarsi in rete e accedere ai servizi online della Pubblica Amministrazione, come ad esempio il portale INPS, l’Anagrafe Tributaria o il Registro Imprese. Entrambi i certificati hanno una validità massima di 3 anni e possono essere prorogati online per altri 3 anni. La smart card può essere inclusa anche in un token USB, insieme a tutti i software che permettono di creare e gestire la firma digitale. Quali tipi di firma elettronica esistono? Oltre alla firma digitale apposta mediante device hardware, esistono altre tipologie di firma elettronica.  Sempre nell’ambito delle firme qualificate, troviamo la firma digitale remota, che si differenzia da quella tradizionale perché non richiede l’uso di dispositivi fisici come smart card o token USB, ma si basa sull’HSM (hardware Security Module), un apparato hardware-software atto a ospitare il certificato di firma intestato all’utente che vi accede tramite un sistema di autenticazione forte e password temporanee (OTP) generate da un’applicazione sullo smartphone o sul tablet. Con questa soluzione, per apporre la propria firma sui documenti elettronici è sufficiente disporre di una connessione e di un software specifico. La firma remota è attualmente la più utilizzata nel nostro Paese: basti pensare che l’80% dei circa 22,5 milioni di certificati sottoscritti dagli utenti italiani si basa su questa modalità. Tuttavia, è importante ricordare che la firma digitale remota non include il CNS, ma solo il certificato di firma digitale. Di conseguenza, non permette di accedere ai servizi della PA. Vi sono altre tipologie di firme elettroniche che, pur non essendo basate su certificati personali qualificati e non potendo, per questo, sostituire pienamente la firma autografa, hanno un’importante valenza giuridica: le Firme Elettroniche Avanzate (FEA). Come ottenere la firma digitale? Per poter firmare un documento elettronico con la firma digitale, non basta acquistare il kit per l’identità digitale. Prima bisogna richiedere il certificato di firma digitale presso un ente certificatore qualificato (ad esempio, Poste Italiane, Aruba, InfoCert, ecc.). La lista dei provider attivi è disponibile sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Chi ha un’attività imprenditoriale può anche richiedere la firma digitale alla propria Camera di Commercio. Una volta scelto l’ente certificatore, il richiedente dovrà iscriversi sul sito, fornendo i propri dati personali e caricando un documento d’identità in corso di validità. Il rilascio della firma digitale avviene in seguito alla verifica dell’identità, che può essere effettuata in vari modi: Alcuni provider offrono la possibilità di ottenere la firma digitale in modo più semplice, ma bisogna disporre di Spid o CIE. Basta accedere con uno di questi due sistemi per effettuare il riconoscimento, prima possibile solo tramite un incontro fisico o mediante webcam. Il costo della firma digitale

La riforma dello sport

Riforma dello sport, Ministri Abodi e Calderone: tutele, semplificazione e trasparenza le parole chiave dei correttivi Il Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, e il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone, co-proponenti, hanno presentato ai media il decreto correttivo che interviene sulla Riforma dello sport, in vigore dal 1° luglio 2023, approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri la scorsa settimana e che, come previsto, è stato trasmesso alle Camere e alle Conferenze, Unificata e Stato-Regioni, per l’acquisizione dei rispettivi pareri e intese per poi tornare in Consiglio dei Ministri per la seconda e definitiva lettura. Tutele, semplificazione e trasparenza sono le parole chiave che identificano il correttivo proposto ai decreti attuativi della delega contenuta nella Legge 86/2019 con l’obiettivo di portare migliorie ed innovazioni normative nel mondo dello sport, a iniziare dal lavoro sportivo di cui al D. lgs. 36/2021, con il riconoscimento delle dovute tutele a chi opera nel suo ambito, incluse tutele fondamentali come quelle relative alla maternità e alla malattia, in un quadro sostenibile per il mondo del dilettantismo. Diverse le novità, tra le quali si segnalano in particolare 1 – le semplificazioni degli adempimenti in materia di lavoro sportivo, con norme che disciplinano le comunicazioni al centro dell’impiego e la tenuta del libro unico del lavoro, da effettuare anche attraverso il registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche le cui implementazioni saranno disciplinate nel pieno rispetto degli obblighi di legge con un decreto interministeriale da emanare entro il 1° luglio; tale registro potrà consentire ad associazioni e società sportive dilettantistiche di inserire, tramite interfaccia web, i dati dei collaboratori sportivi che saranno disponibili per tutti gli enti competenti; 2 – il registro verrà dotato di ulteriori funzioni: gli uffici dei due ministeri sono al lavoro per assicurare il rispetto dei tempi previsti per i primi adempimenti; 3 – le norme specifiche per i giudici di gara, per quali il rapporto di lavoro potrà essere attivato tramite convocazione o designazione dell’organismo sportivo; 4 – le norme specifiche per i dipendenti pubblici, con la previsione di un meccanismo di silenzio assenso per il rilascio dell’autorizzazione necessaria per lo svolgimento dell’attività sportiva retribuita (extra orario di lavoro), mentre, in caso di attività non retribuita, sarà sufficiente una comunicazione al datore di lavoro; 5 – la maggiore flessibilità nella individuazione del tipo di rapporto da instaurare nel lavoro sportivo dilettantistico, con l’innalzamento a 24 ore settimanali del limite previsto per mantenere la presunzione di lavoro autonomo; 6 – il sostegno al mondo paralimpico, con l’introduzione di una nuova disciplina che consente agli appartenenti al club paralimpico di partecipare a competizioni e ad allenamenti con un permesso speciale retribuito, senza richiedere quindi ferie e conservando il posto di lavoro con rimborso degli oneri sostenuti dal datore di lavoro; 7 – l’abbassamento a 14 anni dell’età minima per l’apprendistato per l’istruzione secondaria sia nel professionismo, sia nel dilettantismo; 8 – l’intervento in tema di Irap con la previsione, per il mondo del dilettantismo, che non concorrono a determinarne la base imponibile i corrispettivi fino a 85mila euro; 9 – la previsione di un Osservatorio nazionale sul lavoro sportivo, da istituire di concerto con il Ministero del Lavoro, con compiti di promozione di iniziative di monitoraggio e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.