Costo del personale: come si calcola?

Il costo del personale rappresenta una voce importante del bilancio aziendale e, molto spesso, la sua entità influenza direttamente le prestazioni dell’azienda sul mercato. Scopriamo nel dettaglio come eseguire il corretto calcolo del costo del personale della tua azienda. Il costo del personale Partiamo da una premessa: rispetto a qualche decennio fa lo scenario all’interno del quale le aziende si devono muovere è profondamente cambiato. Da un lato c’è un mercato ormai globalizzato che offre tante nuove opportunità di crescita e per aumentare gli utili. Dall’altro, però, c’è da fare i conti con competitor più agguerriti in grado di proporre servizi e prodotti di qualità a prezzi competitivi. Indubbiamente, è importante per un’azienda investire sullo sviluppo e sulla ricerca ma lo è altrettanto anche sfruttare al meglio le proprie risorse interne e tenere sotto controllo i costi. In Italia è risaputo che la tassazione sul lavoro è tra le più elevate al mondo. Il cuneo fiscale e tutte le altre tasse previste dall’attuale sistema rendono più complessa l’eventualità di assumere un nuovo dipendente. Il problema principale non è soltanto legato al costo in sé per sé, ma dalla zavorra che queste spese comportano per l’azienda che non può destinare ulteriori risorse all’innovazione e alla ricerca. Di qui l’importanza di tenere sotto controllo il costo del personale della tua azienda e soprattutto capire come è possibile calcolarlo correttamente. Perché calcolare il costo del personale Prima di addentrarci in una questione molto tecnica è opportuno ricordare che la risorsa più preziosa della tua azienda sono e restano i dipendenti. È perciò nello stesso interesse dell’azienda tutelare i suoi collaboratori permettendo loro di accedere ad una retribuzione adeguata per il lavoro che svolgono e per il contributo che danno alla crescita dell’impresa. Altrimenti, l’azienda smetterà di attrarre quei talenti di cui ha bisogno per crescere, innescando un feedback negativo. Tuttavia, la gestione deve essere commisurata con le potenzialità della tua attività e con il volume di affari che riesci a creare, evitando di fare il classico passo più lungo della gamba. Come abbiamo già detto il costo del personale rappresenta una voce importante del bilancio: e per questo è fondamentale saperlo quantificare preventivamente, in modo da allocare le risorse in modo sostenibile. La differenza tra retribuzioni e costi connessi Un classico errore che si commette nella valutazione e nel calcolo del costo del personale riguarda le spese che vengono considerate. Infatti, il costo del personale è semplicemente la somma algebrica dei salari che vengono riconosciuti ai vari dipendenti presenti in organico con l’aggiunta di eventuali benefit e delle tasse. In linea generale è importante sottolineare che la quantificazione può arrivare da due categorie principali di costi. La prima categoria riguarda il cosiddetto costo diretto del lavoro ossia quello necessario per produrre un articolo. Poi c’è il costo cosiddetto indiretto che non è legato alla produzione. Nella prima categoria possiamo tranquillamente inserire gli stipendi mentre nella seconda sono da riportare tutte quelle attività che riguardano il personale ma che non sono collegate alla realizzazione dei servizi e dei prodotti offerti. Potrebbe apparire come una suddivisione quasi scontata ma in realtà non considerare correttamente le varie spese potrebbe comportare degli errori con conseguenze rilevanti dal punto di vista del guadagno e della soddisfazione dei propri dipendenti. Un altro approccio virtuoso è quello che permette di gestire correttamente il bilancio aziendale distinguendo tra quei costi che sono direttamente correlati alle prestazioni aziendali e quelli che invece contribuiscono a mantenere le infrastrutture e tutto quello che è necessario per creare i presupposti per creare e produrre. Lo stipendio Nel calcolo del costo del personale la prima voce da considerare è quella relativa allo stipendio del dipendente. Si tratta di una ovvietà che però va tenuta in conto. A tal proposito è importante introdurre un semplice concetto, ossia quello della retribuzione annua lorda (RAL). Si tratta, in parole povere, della somma algebrica di tutti gli stipendi lordi che vengono riconosciuti ai vari dipendenti dell’azienda. Ulteriori costi La retribuzione non è la sola voce che bisogna considerare nel calcolo del costo del personale di un’azienda. Ce ne sono tante altre che molto spesso vengono erroneamente ignorate comportando degli errori di valutazione. Prima che un dipendente possa svolgere la propria attività e dare un importante contributo per la crescita aziendale, deve essere ricercato sul mercato, selezionato e assunto. Queste fasi richiedono dei costi. Possiamo parlare quindi di un costo di ricerca, selezione e di assunzione. Va considerato che per la ricerca e la selezione ci sono dei software che molto spesso vengono utilizzati con modalità di abbonamento mensile o annuale. Inoltre, il recruiter e tutto il dipartimento della gestione del personale, dovranno impiegare risorse ed energie per poter individuare il candidato ottimale per una determinata mansione. Solitamente bisogna creare degli annunci ad hoc, scremare i candidati e anche questo comporta dei costi che l’azienda deve quantificare e tener conto in fase di calcolo complessivo. Se poi ci si vuole affidare ad un recruiter esterno bisogna tener conto della commissione per il servizio che viene messo a disposizione. Solitamente la commissione si attesta intorno al 20% della retribuzione di base del nuovo assunto. Giusto per intenderci, se il nuovo assunto percepisce uno stipendio di 2000 al mese, il recruiter avrà diritto al 20% di questa somma. E le spese non finiscono qui: perché bisogna fare in modo che il nuovo dipendente venga integrato e si adatti al processo produttivo. In termini tecnici si parla di onboarding: ma esistono dei software pensati per ottimizzare anche questa fase. Le spese di gestione Una ulteriore voce che contribuisce alla quantificazione del costo del personale è rappresentata dalle spese di gestione. Sono degli investimenti che necessariamente devono essere fatti per consentire ai dipendenti di poter utilizzare delle infrastrutture utili allo svolgimento dell’attività. La quantificazione non è semplice ma rientrano nella lista i costi necessari per l’affitto di un locale e le utenze energetiche indispensabili come l’elettricità ma anche l’acqua e il riscaldamento per creare un ambiente lavorativo confortevole che metta nelle migliori condizioni possibili

Rimborsi spese: cosa sono e come funzionano

Da un punto di vista prettamente tecnico si parla di rimborsi spese quando c’è un ulteriore contributo di natura economica messo a disposizione in busta paga dal datore di lavoro a un proprio dipendente per una trasferta oppure per altre spese che lo stesso lavoratore ha dovuto sostenere per espletare l’attività. Sono previste tre diverse tipologie di rimborso spese in particolare quella analitica, forfettaria e mista. La scelta della tipologia è a totale discrezione dell’azienda. In funzione di questo, c’è anche da tenere conto di una specifica tassazione e della possibilità di portare in deduzione i costi. Per potersi occupare al meglio del bilancio di un’attività d’impresa, è dunque indispensabile conoscere nei minimi dettagli tutto quello che riguarda i rimborsi spesa e il loro funzionamento. Infatti, essendo dei costi, necessariamente andranno a incidere sul bilancio mensile e su quello annuale di una azienda. Ci sono delle questioni di natura normativa che devono essere rispettate e l’erogazione deve avvenire in determinate condizioni soprattutto se ci sono lavoratori che svolgono la propria attività normalmente al di fuori della sede aziendale. Come funzionano i rimborsi spese Per gestire correttamente i rimborsi spese, è indispensabile capirne il funzionamento. Parliamo di un qualcosa che è legato all’attività lavorativa che il dipendente gestisce al di fuori della sede aziendale o, per meglio dire, in trasferta. Semplicemente si parla di trasferta quando il lavoratore svolge l’attività professionale al di fuori della sede naturale. Non a caso quando si sottoscrive un contratto di lavoro con un’azienda, tra le varie questioni tecniche ed economiche riportate c’è anche la definizione in maniera precisa della sede lavorativa. In base all’indirizzo vengono considerate trasferte tutte quelle attività che vengono effettuate al di fuori di tale sede. Può succedere anche che nel contratto non venga riportata la sede soprattutto se si svolge un ruolo che prevede l’esigenza di doversi recare in diverse sedi come quello dell’amministratore. In questo caso per stabilire se un dipendente ha diritto o meno a un rimborso spese, è necessario far riferimento al domicilio fiscale dell’azienda. In base a questo indirizzo viene calcolata la trasferta e quindi il rimborso. Le spese che possono essere rimborsate Siccome si parla di rimborso, è previsto che il dipendente sostenga delle spese durante l’espletamento dell’attività al di fuori della sede aziendale e che queste poi vengono elargite dall’azienda stessa attraverso la busta paga. Tuttavia, c’è una disciplina che regola le tipologie di spese che possono essere rimborsate e che sono quindi attinenti all’attività. Parliamo di una compensazione economica a favore del dipendente che può essere prevista soltanto se ci sono delle specifiche esigenze. In particolare, il rimborso è previsto per i costi sostenuti per il carburante, per trovare e godere di una sistemazione che permetta vitto e alloggio. Poi ci sono i pedaggi autostradali ed eventualmente anche il noleggio dei veicoli che nella stragrande maggioranza dei casi viene presa in considerazione da un’azienda a meno che non si disponga di un veicolo aziendale. Possono essere contemplate anche spese necessarie per la gestione dell’utilizzo del veicolo ma anche per acquisti che vengono effettuati in trasferta e sempre collegabili all’attività che si sta svolgendo. Insomma, una situazione che può differire da caso a caso ed è per questo che non c’è stata una standardizzazione dei rimborsi spesa soprattutto per quanto concerne il tetto massimo che per legge non c’è. Chiaramente un’azienda non può permettersi di effettuare spese illimitate ma deve comunque fissare un budget da mettere a disposizione al proprio dipendente per non sforare determinati paletti. Le differenze tra le varie tipologie di rimborso spese Ci sono diverse questioni da affrontare che riguardano il rimborso spese e che lo rendono meno banale di quanto si possa pensare. Essendo un’aggiunta allo stipendio, c’è un surplus sulla busta paga che risulterà più alta. Ma come si gestisce il tutto da un punto di vista fiscale? In primo luogo, bisogna distinguere tra due situazioni. La prima riguarda i rimborsi per le trasferte che vengono effettuate all’interno del territorio comunale e la seconda rispetto alle trasferte al di fuori della zona comunale. Nel primo caso le spese rimborsate contribuiranno ai fini fiscali a fare cumulo sul reddito imponibile per cui bisognerà dichiararle e pagare le relative tasse. Invece, quando si tratta di rimborsi che sono stati previsti per l’attività che viene effettuata al di fuori dal territorio comunale, queste sono esenti fiscalmente entro determinati limiti. L’impresa può scegliere tra diverse soluzioni per gestire il rimborso e in particolare pensare al rimborso spese analitico, a quello forfettario oppure al sistema misto. Il rimborso spese analitico È un sistema molto utilizzato perché si basa semplicemente sul concetto che per ottenere il rimborso, il dipendente deve presentare dei documenti fiscali che attestino la spesa sostenuta. Nel caso specifico deve compilare la nota spese per riportare i vari esborsi e soprattutto le causali. Per giustificare le spese, possono essere allegate le fatture elettroniche intestate al lavoratore oppure all’azienda, le ricevute che fanno riferimento alle spese sostenute per il vitto e l’alloggio oppure i biglietti per utilizzare trasporti pubblici. Naturalmente rientra nella documentazione anche lo scontrino, le ricevute per il carburante ma anche pedaggi autostradali e altre tipologie di documenti fiscali che sono collegati ai costi sostenuti per espletare l’attività. Le aziende scelgono spesso questo sistema perché gli importi non sono imponibili. Infatti, come abbiamo detto, tutte le spese effettuate per spostarsi al di fuori del comune in cui ha sede l’azienda e per il vitto e l’alloggio, per tante altre persone non fanno cumulo in termini di reddito imponibile. Se invece si tratta di spese non documentate, allora il rimborso è ugualmente previsto con un limite giornaliero di deduzione fiscale che attualmente è di 15,49 euro per le trasferte all’interno del territorio nazionale e di 25,82 euro per quelle al di fuori dei confini italiani. Il sistema forfettario Come si può facilmente evincere dal nome, si tratta di un pagamento che il datore di lavoro effettua attraverso una somma a forfait che viene pattuita prima della trasferta. Il calcolo viene effettuato giornalmente

Knowledge management: cos’è è perché è importante

Per crescere le aziende devono acquisire, archiviare, condividere e gestire efficacemente dati e informazioni al fine di centrare l’obiettivo prefissato. Fare in modo che i dipendenti possano accedere facilmente al fattore conoscenza, li rende maggiormente produttivi con conseguenti benefici dell’azienda stessa. Questo aspetto dell’organizzazione aziendale prende il nome di knowledge management, cioè gestione della conoscenza. A tale proposito vediamo cos’è, perché è importante e quali vantaggi concreti può offrire. Cos’è il knowledge management? Il knowledge management può essere definito un processo di incremento, organizzazione e di totale condivisione della conoscenza da parte di membri di un’azienda al fine di renderla competitiva e in grado di incrementare gli utili. Il knowledge management si rivela prezioso poiché permette di fornire al personale di un’azienda le giuste informazioni in modo che possa agire in sinergia, avvalendosi delle tecnologie più innovative. Condividere metodologie, know-how e strumenti permette ad un’azienda di performare nettamente meglio rispetto alle proprie concorrenti, abbattendo i tempi di onboarding e – tangenzialmente – migliorando anche il clima aziendale. L’informazione è potere e se vi è una asimmetria informativa all’interno dell’azienda, cioè l’informazione è nelle mani di alcuni, si prefigura un monopolio nella gestione dei processi. In questo modo alcune figure tengono in scacco l’azienda che diventa a quel punto succube del lavoratore che potrebbe da un lato dettare le “sue regole”, destabilizzando la struttura gerarchica, dall’altro potrebbe mettere in pericolo l’azienda in caso di dimissioni. Perché il knowledge management aziendale si rivela importante? Approfondiamo questi vantaggi. Optare oggi per un knowledge management ben strutturato e implementato da persone esperte, significa ridurre costi e tempi lavorativi. Gestire efficacemente i dati e condividere metodologie di lavoro consente ad esempio ai team di prendere decisioni in modo più consapevole e rapido, riducendo significativamente i tempi di discussione e facendo in modo che – partendo da una base comune – anche la decisione sia maggiormente condivisa. Se poi alla metodologia, si associa un vero e proprio software di knowledge management i vantaggi aumentano in maniera esponenziale. Diventa possibile ottenere per un’azienda una migliore visione analitica a riguardo di vari problemi, minimizzando di gran lunga gli errori specie quando il numero di dati è ampio. Per fare qualche esempio – un software di knowledge management consente di ottenere informazioni automatizzate e molto più accurate, anche se i dati posseduti sono tantissimi e magari accorpati in testi, pagine web, e-mail oppure inseriti in software e difficilmente rintracciabili manualmente. In questo frangente è sufficiente soltanto utilizzare una parola chiave per filtrare tutte le informazioni fino a raggiungere quella di maggior rilevanza. Un altro valido motivo per cui vale la pena considerare l’implementazione di un software per il processo di knowledge management, è riscontrabile nel fatto che quest’ultimo consente ad un’azienda di gestire le informazioni in modo più rapido e innovativo con conseguenti vantaggi per l’attività che svolge. Presupposti per un buon knowledge management Per implementare efficacemente il knowledge management e sfruttarne gli aspetti strategici che garantisce, è tuttavia importante intervenire a monte su alcuni fattori; infatti, deve essere strutturato sull’effettiva consistenza dei processi aziendali e degli obiettivi che si intendono raggiungere e soprattutto individuare quelli in grado di fornire l’ambito successo. Il knowledge management è una tecnologia che consente di eseguire un processo analitico ed ottimizzato a tutte le aziende che intendono gestire un gran numero di informazioni e dati. Per sfruttarlo al meglio è quindi fondamentale affidarsi nelle mani di esperti del settore, ossia ai knowledge manager. Questi ultimi saranno in grado di definire strumenti e strategie vincenti per la condivisione di know-how, metodologie e dati – che si tratti di mail, database e via dicendo.

Come funziona la fatturazione elettronica?

In questo articolo andremo ad affrontare il tema di come funziona la fatturazione elettronica, uno strumento che diventerà di fondamentale importanza per digitalizzare i processi di business e non sarà, come tanti pensano, solamente uno scambio di documenti tra pubblica amministrazione e aziende private. In Italia l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria ha di fatto rappresentato una discontinuità non indifferente negli ultimi anni per pubbliche amministrazioni, liberi professionisti, imprese e studi professionali. In special modo per le organizzazioni di tipo più strutturato, l’utilizzo di piattaforme e di nuovi procedimenti per una corretta gestione delle fatture elettroniche ha di fatto comportato il primo grande passo verso la digitalizzazione dei processi. L’obbligo di dover conformare uno dei procedimenti interni più complessi ha consentito a molti di poter toccare con mano i numerosi benefici che derivano dalla dematerializzazione, si è così andato a creare una sorta di circolo virtuoso che gradualmente sta estendendo questi vantaggi a molti degli altri compiti che si muovono sulla catena del valore. Ma esattamente in cosa consiste la fatturazione elettronica, come funziona e quali sono gli strumenti necessari per utilizzarla nel modo corretto? Fatturazione elettronica: cos’è e a cosa serve Partiamo quindi con lo spiegare cos’è la fatturazione elettronica, vedremo poi a cosa serve nel concreto. Possiamo definire la fatturazione elettronica come un insieme di tecnologie, processi e strumenti che ci consentono di ricevere, emettere e registrare documenti di tipo commerciale, per essere più specifici storni e fatture, in formato digitale, quindi senza utilizzare carta, archivi fisici e servizi di spedizione. La creazione dei documenti avviene direttamente su dispositivi elettronici, quindi smartphone, PC o qualsiasi altro device, a patto che ci sia un collegamento internet, attraverso moduli funzionali o programmi appositi integrati nella suite di produttività oppure nei gestionali ERP. Il documento viene quindi trasmesso attraverso linguaggio digitale al destinatario che dopo averlo visionato può salvarlo direttamente nel proprio database senza doverlo stampare. In Italia ogni fattura elettronica viene compilata usando il formato XML, che le consente di passare dal Sistema di Interscambio, SDI, una piattaforma che l’Agenzia delle Entrate gestisce direttamente e che è in grado di registrare ogni flusso commerciale attivo tra le aziende private e tra pubblica amministrazione e imprese. La ricezione e l’invio di documenti di acquisto e di vendita è quindi mediata e, per poter accedere allo SDI è indispensabile ricorrere a un provider. L’obiettivo generale della fatturazione elettronica è quindi quello di semplificare le procedure dei rapporti economici tra soggetti privati e pubblici al fine di ottenere trasparenza, monitorare, rendicontare la spesa pubblica e ottenere un controllo efficace del valore che generano le imprese ai fini fiscali. Inoltre, la fatturazione elettronica rappresenta un importante settore di sviluppo tra quelli tenuti in considerazione dall’Agenzia Digitale, sia italiana che europea e, come già detto, gioca un ruolo essenziale nella trasformazione digitale delle organizzazioni. Per chi è obbligatoria la fatturazione elettronica? In Italia la fatturazione elettronica è stata introdotta gradualmente a partire dal 6/06/2014. A partire da questa data, infatti, chiunque forniva prestazioni ad agenzie fiscali, enti nazionali di assistenza e previdenza sociale e ministeri doveva utilizzare il formato digitale, iniziando a gettare le basi a un cambiamento che nel giro di poco tempo è stato preso in considerazione da altri soggetti economici. Dal 1/01/2019 la fattura elettronica diventa obbligatoria anche tra privati, in caso di prestazioni di servizi o cessione di beni tra soggetti stabiliti o residenti in Italia. Per i contribuenti che utilizzavano il regime forfettario l’obbligo è scattato l’01/07/2022, sono esentati fino al 01/01/2024 solo quei soggetti che l’anno precedente ha avuto compensi o ricavi non superiori ai 25.000 euro. Fatturazione elettronica: dove si fa, modalità e software Come già anticipato, per poter compilare una fattura elettronica è necessario avere un software che svolga la funzione di interfaccia con l’SDI. Tranquilli, niente di complicato, solitamente se si è in possesso di Partita Iva basta rivolgersi al proprio commercialista che solitamente mette a disposizione di tutti i suoi clienti la medesima piattaforma utilizzata dallo studio. Sarà quindi sufficiente fare il download, oppure utilizzarlo attraverso il browser web, e sarà possibile fin da subito ricevere e inviare fatture in formato elettronico dal proprio PC. L’alternativa è quella di rivolgersi ad alcuni provider certificati che danno la possibilità di avere strumenti su misura con la modalità Pay-Per-Use, cioè con canoni che si basano sul volume effettivo di documenti lavorati dalla piattaforma. Fatturazione elettronica semplificata: codice SDI Uno dei vantaggi offerti dall’SDI è quello di essere certi di inviare il documento corretto ad ogni destinatario. Ogni trasmissione è di fatto univoca e basata sull’utilizzo di codici, ognuno dei quali identifica un soggetto privato o una pubblica amministrazione. In realtà i codici riconosciuti dal Sistema di Interscambio sono due. Il primo è il CUU, Codice Univoco d’Ufficio, anche detto IPA, Indice Pubblica Amministrazione. Il CUU permette all’SDI l’individuazione dell’ente pubblico o ufficio nello specifico al quale è destinato il documento. Per sapere il CUU al quale inviare la fattura elettronica basta andare sul portale IPA dove si trovano tutte le informazioni riguardanti le varie istituzioni locali o centrali come PEC, dominio digitale e appunto il CUU. Il secondo viene chiamato codice destinatario, ha la stessa identica funzione del primo ma è riservato alla fatturazione di tipo B2B, cioè che avviene tra soggetti di tipo privato. L’unica piccola differenza tra questi due codici sta nel numero di caratteri, il CUU ne prevede sei, mentre il codice destinatario ne ha sette. Mini guida su come funziona e come fare una fattura elettronica Dopo aver visto le informazioni necessarie a comprendere cos’è e come funziona la fatturazione elettronica passiamo alla pratica. Come si compila una fattura elettronica? Se la compilazione avviene manualmente la procedura non è differente dal metodo tradizionale. Basterà aprire l’anagrafica cliente, selezionare l’ente privato o pubblico oppure l’azienda a cui si deve inviare la fattura. Il gestionale in automatico accederà a tutti i dati precedentemente caricati e metterà in evidenza tutte le informazioni del contatto prescelto a partire, se si tratta di fatture B2B o B2G, con

Gruppo Siges entra nel Gruppo Centro Paghe

Siamo lieti di annunciare che il Gruppo Siges entra a far parte del Gruppo Centro Paghe. Il Gruppo Siges è una software house, con base a Saronno, con 45 anni di presenza sul mercato, specializzata in ERP per il settore dell’Hospitality e quello della Sanità Privata, nonché di soluzioni ad hoc per imprese. Per il Gruppo Centro Paghe questa operazione si colloca nell’ambito della strategia di crescita per linee esterne iniziata nel 2019 e proseguita in questi anni, crescita che ha consentito di collocarsi a ridosso dei principali player di mercato. Con questa acquisizione il Gruppo punta sia ad entrare in nuovi mercati sia a promuovere la sua ampia offerta di prodotti e servizi sulla clientela del Gruppo Siges.

HR suite: che cos’è e come funziona questa tipologia di software

La gestione delle risorse umane, soprattutto nell’ultimo decennio, si è evoluta grazie alla maggiore apertura verso la tecnologia. Gli HR Manager e le aziende che operano in questo ambito hanno compreso quanto sia fondamentale avvalersi di software specifici per l’ottimizzazione delle attività, strumenti che consentono di risparmiare tempo e denaro. Le HR suite, quindi, sono diventate dei sistemi indispensabili per affrontare, in modo automatizzato, le varie responsabilità che pesano su questi professionisti. Oggi svolgere alcune operazioni diventa molto più semplice e veloce, partendo dall’onboarding dei nuovi dipendenti per passare alla stesura degli orari e dei turni, le note spesa o la comunicazione interna. Proprio per tali motivazioni, sempre più aziende decidono di adottare software HR in grado di facilitare i flussi di lavoro, così da accrescere l’efficienza e migliorare l’esperienza dei propri dipendenti e collaboratori. Continuando a leggere l’articolo, scoprirai ogni dettaglio relativo a tali software, in modo da capire in maniera approfondita quali sono le loro funzionalità principali e i vantaggi che offrono. Una premessa indispensabile: cosa si intende precisamente per gestione delle risorse umane? Per ottenere il successo un’azienda deve gestire in modo corretto le risorse umane, termine che in inglese viene tradotto in Human Resources e che, il più delle volte, troviamo abbreviato in HR. Ma cosa sono le risorse umane? Semplicemente tutti coloro che compongono la comunità di un’azienda e che danno il loro apporto di conoscenze e competenze per avviare e portare avanti il processo produttivo. Gestire le risorse umane, dunque, significa svolgere varie attività, che necessitano di tanta attenzione e di parecchio tempo. Tra i compiti più comuni ricordiamo la rilevazione delle presenze e delle assenze, la rendicontazione, l’archiviazione dei documenti, il calcolo delle buste paga, la gestione dei turni e delle ferie, la formazione e tanto altro ancora. Queste attività, alla lunga, possono diventare difficili da gestire, specialmente quando chi si occupa di HR lavora seguendo un approccio tradizionale. In quest’ultimo caso, infatti, il rischio più grande è quello di trovarsi sommersi da carte e scartoffie. Grazie all’innovazione digitale, oggi esiste uno strumento per semplificare tutte queste azioni, ovvero le HR suite. HR suite: cosa sono? Da qualche anno a questa parte è cresciuta l’attenzione verso una gestione corretta delle risorse umane, aspetto al quale viene dato sempre maggiore rilievo. D’altra parte, siamo tutti d’accordo sul fatto che il successo aziendale passa dalla qualità del lavoro svolto e dalle caratteristiche del personale che lo esegue. I dipendenti, dunque, rappresentano il vero e proprio cuore pulsante delle imprese. Le HR suite si inseriscono in questo contesto e sono delle soluzioni digitali che permettono di combinare vari processi e sistemi. L’obiettivo è quello di ottimizzare e di gestire al meglio ogni attività giornaliera che riguarda i lavoratori, così da ottenere risultati migliori nei dipartimenti HR. Le aziende che vogliono digitalizzare e rendere automatici i propri processi di risorse umane devono decidere se affidarsi a una suite HR integrata o se, in alternativa, optare per una soluzione che si occupa di un processo specifico (es. rilevazione presenze, richieste ferie, etc.). Tra le due scelte, la seconda è, senza alcun dubbio, la più complicata. Se da un lato avere più strumenti consente di ottimizzare i singoli processi, dall’altro, tale opzione può comportare un progressivo abbandono di tali sistemi. Ecco perché sempre più aziende scelgono di indirizzarsi verso un software che propone una piattaforma modulare. Si tratta di suite che danno vita a uno strumento a 360° per la gestione delle risorse umane. I vantaggi sono evidenti, dal risparmio di tempo per svolgere le operazioni ripetitive alla possibilità di espandere in futuro le funzionalità della piattaforma con moduli aggiuntivi per snellire ulteriori processi. Avere l’opportunità di liberarsi di tali incombenze permette ai reparti HR di dedicare energie e attenzione ad attività strategiche più importanti e a lungo termine. I principali vantaggi di utilizzare una HR suite Adottare in azienda una suite HR offre diversi vantaggi. Analizziamo da vicino quelli più rilevanti, ovvero: Le funzionalità fondamentali di una suite HR Quando un’azienda deve scegliere un software HR è determinante prima porsi alcune domande come, ad esempio, cosa ci si aspetta da una suite o quali sono le funzionalità più importanti da migliorare all’interno della propria azienda. Ogni impresa, infatti, è diversa da un’altra e differenti sono anche i bisogni. Proprio per tale motivo, una delle caratteristiche che rendono ottimo un software HR è la sua flessibilità e la sua adattabilità alle esigenze specifiche. Questo aspetto si può ottenere soltanto tramite la configurazione personalizzata di una piattaforma, settaggio che dipende dai processi interni e dalle politiche aziendali. La stessa importanza va data anche al regolare aggiornamento di una suite. I bisogni, nel corso del tempo, variano e si evolvono. Ecco perché bisogna affidarsi a una HR suite al passo coni tempi. Tra le funzionalità che non devono mai mancare ci sono: Per ottimizzare i processi HR è ormai indispensabile affidarsi al giusto software In questo articolo abbiamo analizzato diversi aspetti delle suite HR ed è chiaro come adottare questi sistemi sia un passo ormai imprescindibile per tutte quelle aziende che desiderano migliorare e ottimizzare i processi relativi alle risorse umane e l’efficienza aziendale in generale. Rendere diverse attività automatiche, grazie alla digitalizzazione, permette innanzitutto di risparmiare tempo e denaro, risorse che possono essere dedicate a operazioni strategiche più importanti. Come abbiamo visto, il software ideale è quello che, oltre alle funzionalità base, consente di sfruttare una serie di strumenti aggiuntivi che permettono di gestire e di monitorare il comparto HR a 360°. In più, non bisogna sottovalutare la possibilità di ricevere regolarmente aggiornamenti che arricchiscono di funzionalità aggiuntive la propria suite, così da soddisfare anche esigenze future tramite l’installazione di ulteriori moduli.

Cos’è la firma digitale e a cosa serve?

Nell’era sempre più interconnessa e digitale che caratterizza il nostro tempo, la sicurezza delle informazioni e l’autenticazione sono diventati temi centrali. La crescente diffusione di servizi online, transazioni elettroniche e comunicazioni digitali ha reso indispensabile tutelare l’identità delle parti coinvolte. In questo scenario, la firma digitale è diventata uno degli strumenti tecnologici più importanti in quanto permette di autenticare i documenti elettronici e garantire la loro validità giuridica. Spesso associata esclusivamente a liberi professionisti e imprese, la firma digitale può rivelarsi utile anche per i semplici cittadini, soprattutto quando si tratta di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione. Vediamo nel dettaglio che cos’è la firma digitale e a cosa serve. Che cos’è la firma digitale La firma digitale è un particolare tipo di firma elettronica qualificata, generata attraverso una procedura informatica che associa una firma a un documento elettronico. Non è semplicemente la versione informatica della firma autografa tradizionale, visto che integra e sostituisce l’applicazione di “sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere” (Capo II, Art. 24 codice dell’Amministrazione Digitale). L’effetto è lo stesso: la convalida legale del documento. Non basta, quindi, scannerizzare o fotografare una firma e incollarla. Il perché è facilmente intuibile: qualcuno potrebbe modificarla e riprodurla e quindi avrà uno scarso valore probatorio. La firma digitale deve avere tre requisiti fondamentali: Il suo utilizzo permette di autenticare i documenti in modo non solo più rapido ed economico, ma anche sostenibile in quanto rende superfluo stampare la carta. A cosa serve la firma digitale Con la firma digitale, è possibile apporre la propria firma su qualsiasi documento elettronico, sia esso di natura pubblica o privata. La sua adozione ha permesso una semplificazione e una completa digitalizzazione delle relazioni tra cittadini, liberi professionisti, imprese e Pubblica Amministrazione. Alcuni esempi di uso della firma digitale sono: Secondo la legislazione vigente in Italia, l’uso della firma digitale è obbligatorio solo in particolari circostanze, tra cui: I casi menzionati riguardano principalmente le aziende, ma la firma digitale è obbligatoria anche per alcune categorie professionali, tra cui gli avvocati e gli architetti, che sono tenute a usarla per ottenere l’accesso a determinati servizi ministeriali. Per i privati cittadini, invece, la firma digitale non è obbligatoria, ma potrebbe essere molto utile perché permette di firmare digitalmente qualsiasi documento della Pubblica Amministrazione, come il cambio di residenza, evitando di fare la coda agli uffici. Come funziona L’applicazione della firma digitale sui documenti avviene tramite l’utilizzo di un dispositivo dedicato, sfruttando sistemi crittografici a chiavi asimmetriche. Questo vuol dire che ogni utente riceve due chiavi diverse per cifrare e decifrare i messaggi: una privata e una pubblica. La chiave privata è contenuta nel dispositivo sicuro (smart card o token USB) e serve per firmare. Quella pubblica viene invece diffusa, essendo contenuta nel certificato digitale intestato al firmatario e accluso al documento firmato. La chiave pubblica serve per decrittare la firma, attestandone la validità. Una volta che il titolare ha completato le procedure di registrazione e identificazione, riceve un kit formato da un lettore (che può essere anche contactless), che si collega al computer tramite una porta USB, e una smart card. Quest’ultima contiene due certificati: il primo serve per sottoscrivere i documenti informatici con valore legale, come ad esempio contratti, fatture, dichiarazioni o moduli, e viene rilasciato da un ente certificatore qualificato; il secondo è un certificato di autenticazione CNS (Carta Nazionale dei Servizi) e serve per identificarsi in rete e accedere ai servizi online della Pubblica Amministrazione, come ad esempio il portale INPS, l’Anagrafe Tributaria o il Registro Imprese. Entrambi i certificati hanno una validità massima di 3 anni e possono essere prorogati online per altri 3 anni. La smart card può essere inclusa anche in un token USB, insieme a tutti i software che permettono di creare e gestire la firma digitale. Quali tipi di firma elettronica esistono? Oltre alla firma digitale apposta mediante device hardware, esistono altre tipologie di firma elettronica.  Sempre nell’ambito delle firme qualificate, troviamo la firma digitale remota, che si differenzia da quella tradizionale perché non richiede l’uso di dispositivi fisici come smart card o token USB, ma si basa sull’HSM (hardware Security Module), un apparato hardware-software atto a ospitare il certificato di firma intestato all’utente che vi accede tramite un sistema di autenticazione forte e password temporanee (OTP) generate da un’applicazione sullo smartphone o sul tablet. Con questa soluzione, per apporre la propria firma sui documenti elettronici è sufficiente disporre di una connessione e di un software specifico. La firma remota è attualmente la più utilizzata nel nostro Paese: basti pensare che l’80% dei circa 22,5 milioni di certificati sottoscritti dagli utenti italiani si basa su questa modalità. Tuttavia, è importante ricordare che la firma digitale remota non include il CNS, ma solo il certificato di firma digitale. Di conseguenza, non permette di accedere ai servizi della PA. Vi sono altre tipologie di firme elettroniche che, pur non essendo basate su certificati personali qualificati e non potendo, per questo, sostituire pienamente la firma autografa, hanno un’importante valenza giuridica: le Firme Elettroniche Avanzate (FEA). Come ottenere la firma digitale? Per poter firmare un documento elettronico con la firma digitale, non basta acquistare il kit per l’identità digitale. Prima bisogna richiedere il certificato di firma digitale presso un ente certificatore qualificato (ad esempio, Poste Italiane, Aruba, InfoCert, ecc.). La lista dei provider attivi è disponibile sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Chi ha un’attività imprenditoriale può anche richiedere la firma digitale alla propria Camera di Commercio. Una volta scelto l’ente certificatore, il richiedente dovrà iscriversi sul sito, fornendo i propri dati personali e caricando un documento d’identità in corso di validità. Il rilascio della firma digitale avviene in seguito alla verifica dell’identità, che può essere effettuata in vari modi: Alcuni provider offrono la possibilità di ottenere la firma digitale in modo più semplice, ma bisogna disporre di Spid o CIE. Basta accedere con uno di questi due sistemi per effettuare il riconoscimento, prima possibile solo tramite un incontro fisico o mediante webcam. Il costo della firma digitale

Whistleblowing: cos’è e perché è importante

Il whistleblowing è la segnalazione di attività illecite o irregolarità sul luogo di lavoro, fatta da un dipendente o collaboratore che vuole far emergere problemi di interesse pubblico o violazioni al codice etico aziendale. In particolare, il whistleblower è colui che riferisce a figure competenti all’interno dell’organizzazione (es. compliance officer, internal audit) oppure anche ad autorità esterne, condotte che rappresentano un rischio o un danno per l’integrità dell’ente. Lo scopo di questa pratica è quello di favorire la trasparenza e la legalità, consentendo di portare alla luce situazioni critiche che potrebbero non emergere altrimenti. Per questo molti paesi stanno cercando di regolamentare e proteggere legalmente questa pratica, evitando che chi segnala subisca ritorsioni ingiuste. Il whistleblowing in Italia è attualmente un tema scottante e di grande attualità. La recente direttiva europea 2019/1937 impone a tutti gli Stati membri di dotarsi di una legislazione adeguata a proteggere chi segnala illeciti sul posto di lavoro. Senza contare che un efficace sistema di whistleblowing porta enormi benefici alle aziende, ai lavoratori e alla società. Proteggere chi segnala irregolarità in buona fede è fondamentale per far emergere situazioni critiche che altrimenti resterebbero nascoste. In poche parole, dotarsi di procedure adeguate conviene a tutti. Vediamo cosa prevede la normativa, quali sono i rischi del ritardo italiano, e soprattutto cosa puoi fare per contribuire ad un cambiamento culturale su un tema così delicato e importante. La direttiva UE 2019/1937 La direttiva citata nel titolo del paragrafo, sulla protezione dei whistleblower è entrata in vigore nel dicembre 2019. Gli Stati membri avevano tempo fino al 2021 per recepirla all’interno delle rispettive legislazioni nazionali. L’Italia si è mossa con un certo ritardo, ma da luglio 2023 ha finalmente introdotto delle regole in materia, per le aziende a partire da 50 dipendenti. Questo passaggio è fondamentale e strategico: garantire un ambiente di lavoro trasparente e sicuro conviene prima di tutto a te e al tuo business. Proteggere i dati personali di chi segnala La direttiva UE richiede massima attenzione alla protezione dei dati personali di chi segnala irregolarità. Come azienda, devi garantire la massima riservatezza su identità e contenuto delle segnalazioni ricevute. In Italia, il Garante per la privacy ha già cominciato a sanzionare duramente le aziende che violano la privacy di segnalatori e segnalazioni con multe piuttosto salate.  Quindi fai molta attenzione a gestire questi dati con protocolli sicuri e criptati. Scegli un software whistleblowing che protegga l’anonimato end-to-end. Non mettere a rischio la tua azienda con comportamenti superficiali su un tema così delicato. Pianificare adeguatamente l’implementazione Non puoi improvvisare su una materia complessa come questa. Devi pianificare con cura l’introduzione di nuove procedure e sistemi di segnalazione interni. Innanzitutto, forma adeguatamente il personale coinvolto nella gestione delle segnalazioni. Poi, prevedi una campagna informativa per i dipendenti, spiegando con chiarezza il funzionamento del sistema e le garanzie offerte. Infine, monitora attentamente l’utilizzo della piattaforma, intervenendo prontamente se emergono criticità o dubbi. Ricorda: un sistema whistleblowing mal gestito può generare sfiducia e diffidenza tra i lavoratori. Cambiare mentalità sulla cultura della segnalazione Per introdurre in azienda un sistema di whistleblowing efficace, si deve prima procedere con un cambiamento culturale, devi favorire attivamente una nuova mentalità, che consideri il segnalare irregolarità non più come un tradimento ma come un dovere civico. Devi promuovere valori come trasparenza, integrità e senso di responsabilità tra i tuoi dipendenti. Devi far capire che la segnalazione è uno strumento di tutela dell’azienda stessa, non un attacco personale. Insomma, il tuo compito è creare un ambiente psicologicamente sicuro per chi vuole parlare. Il successo di questo sistema dipende in gran parte da questo cambiamento culturale. Quindi dedicaci tempo e impegno fin da subito. Benefici di un sistema efficace Introdurre un sistema efficiente e ben gestito porta enormi benefici all’azienda. Insomma: proteggere chi segnala conviene sotto tutti i punti di vista. Piattaforme per la gestione del whistleblowing Per gestire in modo efficace le segnalazioni, devi dotarti di uno strumento tecnologico adeguato. La soluzione migliore è scegliere una piattaforma whistleblowing sviluppata da un fornitore qualificato e con esperienza specifica. Evita soluzioni improvvisate o fai-da-te. Affidati a specialisti del settore, che sapranno consigliarti la migliore configurazione in base alle tue esigenze specifiche. È un investimento importante che ti proteggerà nel lungo periodo. Puntare sulla piena conformità Quando implementi un sistema di whistleblowing è fondamentale garantire la piena conformità a tutti i requisiti normativi previsti dalla direttiva UE. Devi assicurarti che la piattaforma prescelta sia stata progettata specificamente per rispettare ogni dettaglio richiesto dalle nuove regole europee. Non accontentarti di soluzioni generiche o parziali. La conformità totale è garanzia di tutela legale per te e per l’azienda. Inoltre, ti mette al riparo da possibili sanzioni delle autorità di controllo. Insomma, meglio prevenire che curare! Se la tua azienda ha una struttura articolata, con diverse società controllate o collegate, è naturalmente necessario estendere il sistema whistleblowing a tutti i soggetti giuridici del gruppo. Oltre a diffondere la cultura dell’integrità in tutta l’organizzazione, accentrerai la gestione delle segnalazioni, con benefici in termini di efficienza, costi e sicurezza. Insomma, un’implementazione a livello di gruppo è la scelta migliore. In sintesi, l’introduzione di un sistema whistleblowing efficace e conforme alla normativa richiede impegno ma porta enormi vantaggi a lungo termine.